Ogni project manager sa quanto sia importante costruire e far crescere al meglio la propria squadra di lavoro. Spesso, selezionare le persone giuste da far entrare in un team si traduce nel cercare di assegnare ruoli e competenze adeguate al tipo di lavoro da svolgere. Se bastasse semplicemente fare questo per ottenere un team in grado di raggiungere l’obiettivo, allora basterebbero i classici colloqui di lavoro, skill-oriented, e un breve periodo di rodaggio del personale, per avere tutte le carte vincenti. Nella pratica, tuttavia, competenze, esperienza dei candidati e corretta assegnazione dei ruoli all’interno di un team, non determinano il successo.
Molti team assemblati al meglio in questo modo, infatti, anche se inizialmente paiono brillare, nel tempo dimostrano capacità di generare valore quasi nullo. Come mai accade questo?

Spesso ci si trova con team che, seppur comprendenti individualità eccellenti e guidate da project manager d’esperienza, generano risultati deludenti e mancano gli obiettivi. Perché questi fallimenti?

In questo articolo ho voluto raccogliere 3 tecniche, semplici e pratiche, di cui ho potuto verificare l’efficacia nel mio lavoro di manager d’impresa e di progetti start-up. Dopo aver letto i contenuti e visto i video collegati, potrai tu stesso provarle direttamente: sono curioso di sapere quali risultati potrai ottenere applicandole! Scrivimi pure o commenta in fondo all’articolo.
Bene, allora iniziamo subito con la prima tecnica!

Tecnica 1: costruisci una torre, costruisci un team

Il video che segue ci mostra il problema, la sua riproducibilità e ne rivela una possibile tecnica risolutiva. La presentazione di Tom Wujec al TED mostra risultati molto promettenti dati dall’applicazione della tecnica descritta.
Pronto a scoprirla anche tu?

Bene, iniziamo.
Il video riporta i casi emersi da una sfida ‘creativa’ a cui vengono sottoposti differenti tipi di gruppi di persone: il Marshmallow Challenge. Questo challenge si svolge in 18 minuti, tempo in cui ciascun team deve costruire la struttura più alta possibile utilizzando esclusivamente i seguenti elementi:

  • 20 spaghetti,
  • un rotolo di  nastro adesivo,
  • una cordicella e..
  • un marshmallow.

L’unico vincolo è dato dalla posizione del marshmallow:  deve trovarsi all’apice della struttura.

Sembrerebbe un test abbastanza semplice ma, nella pratica e negli esiti che si sono verificati, mostra come sia davvero complicato nella realtà affrontarlo. Il bello è che molti  team che all’inizio sembrerebbero avere le carte in regola per realizzare strutture se non altissime, almeno decenti, falliscono miseramente. Paradossalmente, le altezze medie delle strutture realizzate da squadre composte da laureati alle business school risultano drammaticamente inferiori a strutture realizzate da gruppi di ragazzini!

Il video, che dura solo 7 minuti,  rivela alcuni elementi chiave interessanti sui team e su come fare team building.


Ecco la formula operativa, semplice ed efficace:

costruire rapidamente e ripetutamente prototipi lasciando perdere futili dispute su leadership ed opinioni non verificate.

Questa idea è alla base dei metodi lean, in cui le fasi del ciclo fare-verificare-imparare devono succedersi in modo rapido e continuo con lo scopo fondamentale di accrescere la conoscenza del problema e dello spazio di soluzioni, testando approcci differenti per giungere ad una soluzione ottimale.

Questo talk del TED getta luce su una tecnica efficace per la costruzione di team formidabili, in grado di operare in modo collaborativo, vincente e focalizzati sull’obiettivo da raggiungere.

Tecnica 2: istituzione vs. cooperazione

La seconda tecnica nasce da alcune considerazioni che ho maturato su progetti andati bene e su altri, andati un po’ meno bene, ed ha a che fare con il concetto, oggi molto sbandierato ma poco praticato, della Open Innovation (rif. wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Open_innovation).
Risulta particolarmente utile in fase di formazione del team ed in ottica di sviluppo di progetti aperti.

La tecnica nasce da un semplice problema: ho bisogno di un team ampio e che si appassioni al progetto che ho in mente ma per farlo decollare ho budget limitato.
Come fare?

Costruire un gruppo di lavoro dal punto di vista dell’azienda significa avviare una selezione di personale in base ad alcuni criteri prestabiliti, regolare il tipo di sforzo che si richiede ai selezionati e gestire continuamente lo sviluppo del progetto con le classiche attività e con la verifica dello stato di avanzamento. Tutto questo fa parte del modello “istituzionale”, detto così perché si istituisce formalmente un team per sviluppare un progetto, e comporta costi e tempi di gestione non trascurabili.

Esiste un modello alternativo con cui è possibile attrarre energie positive e dare modo a progetti aperti di crescere in modo dirompente e trainati da individualità appassionate.
Si tratta del modello basato sulla “cooperazione” aperta e con contributi liberi. Per capire immediatamente di cosa si sta parlando cito subito un nome: Linux.
Il progetto di sviluppo del kernel Linux, come progetto di cooperazione, è iniziato precisamente il 25 agosto del 1991 con un post di Linus Torvalds, allora studente dell’Università di Helsinki, sul newsgroup comp.os.minix ed iniziava con queste parole che provo a proporre in italiano (ref. http://web.archive.org/web/20100104211620/http://www.linux.org/people/linus_post.html):

“Ciao a tutti, utenti di minix

Sto sviluppando un sistema operativo libero (solo per hobby, 
non vuole essere grande e professionale come gnu) per architettura 386(486). 
E’ in preparazione da aprile, ed ora inizia ad esser pronto. 
Mi piacerebbe ricevere ogni commento su cose che piacciono o meno di minix, 
dato che il mio OS lo richiama in qualche modo (stesso lato fisico del filesystem 
(per ragioni pratiche) tra le altre cose). […]”

Sappiamo poi come è andata, molto lontano dal rimanere un semplice hobby ed un piccolo progetto personale.
Dunque questa tecnica inizia con un passo fondamentale: il mettersi in gioco. La chiave di attivazione è avere il coraggio di dischiudere l’idea e proporsi in modalità collaborativa e aperta. Ciò comporta la possibilità di attrarre collaboratori, di ricevere critiche, elogi e, paradossalmente, proprio con le prime possiamo provare a migliorare. Cosa succede dopo questo primo passo e supponendo che l’idea possa interessare a qualcuno?

Ciò che succede è che l’apertura ad una libera contribuzione porta al verificarsi di un fenomeno di contribuzione cosiddetto a ‘curva esponenziale’ molto interessante. Cosa significa? Semplice: osserviamo il grafico nell’immagine qui sotto: se ordiniamo in modo decrescente gli individui in base alla quantità di contributi resi e indichiamo verticalmente il numero dei contributi, otteniamo praticamente quasi sempre una curva esponenziale, proprio simile a quella presentata come esempio nell’immagine. Cosa ci dice questa curva? Una cosa fondamentale per l’individuazione di un team: un ristretto numero di top-contributori genera la maggior parte dei contributi totali.

Infatti, volendo approssimare i risultati che si ottengono, ecco apparire la famosa regola di Pareto dell’80/20: in questo caso potremmo dire che il 20% dei contributori genera l’80% dei contributi.
La curva esponenziale di contributi ci racconta proprio questo: pochi individui contribuiscono tanto e molti individui generano poco o pochissimo. Come vedremo in seguito però, anche tener conto della coda dei tanti piccoli contributi, può risultare determinante.

Allora, cosa ne consegue per la costruzione di un team? Avendo una modalità aperta di ingaggio, in questo caso il team non si definisce in modo formale e chiuso ma in modo ‘fluido’ e aperto.

Definiamo team non in modo formale e chiuso, ossia istituzionale, bensì in modo fluido e aperto, ossia collaborativo.

Volendo garantire una maggiore stabilità al progetto è importante assegnare un riconoscimento ai top contributori, attivando una delle leve fondamentali nella gestione dei team: lo status di esperto, anche detto master, in base al merito. In questo modo l’affezione cresce e la stabilità della presenza anche, fornendo un modello aperto ma più stabile rispetto ad un modello completamente cooperativo ma piatto.

In sintesi, l’apertura consente di raccogliere energie positive anche se inizialmente un po’ caotiche e, concentrandosi sui top-contributori che via via emergono, è possibile individuare sottogruppi con cui la collaborazione, se meglio organizzata, può divenire ancor più produttiva.
Ecco sintetici i passi:
Definizione del quadro dell’idea di progetto
• Chiamata alla cooperazione aperta e semplice
• Monitoraggio dei contributi e riconoscimenti
• Definizione fluida del team formato dai top-contributori
• [Opzionale] definizione più formale, per chi lo desidera, di un team interno proponendo top-contributori

Ritornando al caso del kernel Linux ad esempio, il punto di vista di Bill Gates fu “abbiamo verificato che molta parte dei contributi al kernel Linux provengono da persone che hanno fatto solo una cosa! E’ Terribile!” Eh si, dal punto di vista di un’azienda corporativa come Microsoft è come dire: assumo una persona che viene tutti i giorni, gioca a biliardino tutto il tempo e in tre anni genera un solo contributo: è una prospettiva davvero terribile! Poniamoci però questa domanda, ad esempio, proprio sul caso kernel Linux: e se quel particolare contributo fosse una patch di sicurezza importantissima, non la vorreste? Perché tagliare fuori il 20-25% delle contribuzioni solo perché non sono integrabili con politiche aziendali pre-costituite?
E’ una bella domanda, ed è anche una bella sfida che lancio anche ai miei lettori.
Integrare il valore della cooperazione in realtà come startup su progetti open può risultare auspicabile e, talvolta, anche vincente, lo confermano esperienza e casi di studio noti, ma farlo in un’istituzione o un’azienda già consolidata è una bella sfida.
Tu come pensi si possa affrontare?

Tecnica 3: il valore degli introversi

Eccoci alla terza ed ultima tecnica per costruire team formidabili. In realtà, più che una tecnica è un modo per valorizzare alcune individualità che si hanno in alcuni team o, se vuoi, un punto di vista differente nella valutazione di candidati durante i colloqui. Si tratta di un punto di vista personale che ho maturato dopo aver notato alcune caratteristiche ripetutesi in vari contesti. Negli ultimi anni ho trovato riscontri in pubblicazioni sul tema [Grant2013] ma si tratta di un punto di vista ancora poco diffuso, direi in controtendenza.

Ok, andiamo al punto. Secondo alcune ricerche pare che tra il 30% ed 50% degli individui sia “introverso”: questa percentuale, seppur non così marcata, si ripete quasi sempre in ogni team, dove compaiono individualità più o meno estroverse che finiscono per rendersi più evidenti nel gruppo, ed altre individualità che sentono meno il bisogno di mostrarsi, di intervenire o di cercare riprove sociali. Bene, questi ultimi sono gli introversi.

Essere introverso è differente dall’essere timido. La timidezza è timore, paura di sbagliare rapportandosi agli altri, per cui rappresenta un freno. L’introversione è stare bene con se stessi, tranquilli e pacifici, senza alcuna esigenza di sentirsi alla ribalta.

La cultura attuale, molto social, tende a favorire chi è estroverso, molto comunicativo.

Gli ambienti di lavoro open-space, i co-working, ed altre tendenze di riorganizzazione degli spazi e modalità di lavoro fanno leva su una costante esposizione pubblica e sociale: tutte modalità che tendono a favorire gli estroversi. Oggi si tende a credere che creatività e produttività nascano sempre da ambienti che favoriscono la socievolezza. La scuola, su questo, non fa eccezione dato che, molto spesso, chi tende a voler lavorare da solo, magari perché in questo modo trova più concentrazione e risultati, è scoraggiato ed, a volte, additato come “problematico”. Peccato che, invece, secondo recenti studi e pubblicazioni, gli introversi raggiungono le medie più alte e forniscono proprio i risultati migliori!

Questo accade non solo a scuola, ma anche nei team di lavoro: una ricerca di Adam Grant della Wharton School ha mostrato che, se gli introversi arrivano ad occupare posizioni di leadership nei team, tendono a favorire le individualità pro-attive, non entrando in competizione con loro, favoriscono le idee emergenti e lo spirito collaborativo, non avendo ambizione di emergere loro stessi e ad appropriarsi di idee o meriti. Inoltre, dal punto di vista degli altri membri del team, la presenza di un introverso come leader è vista come un’assunzione d’impegno, non come volontà di emergere: d’altra parte l’introverso stesso, in quella situazione, vede il proprio ruolo come l’opportunità per fare la cosa giusta, non come un modo per sentirsi alla ribalta.

In una cultura in cui essere “social” ed estroversi paiono essere gli elementi premianti e l’unico modo per poter essere accettati è far parte di un gruppo, essere introversi significa incorrere in potenziali critiche e soffrire di disagi. Nella realtà, come abbiamo visto, i fatti ci dicono che individualità introverse in un team rendono il team migliore.

In realtà non esiste la figura dell’introverso perfetto o dell’estroverso perfetto. Infatti, già Carl Jung che per primo ha introdotti i termini e li ha caratterizzati, descrive come tutti gli individui presentino un gradiente, anche mutevole nel tempo, di queste due caratteristiche estreme.

Quello che è importante comprendere per la gestione del team è questo: ciascun individuo ha i suoi punti di forza e debolezza e, talvolta, alcuni individui hanno bisogno di spazi per ragionare off-line ed in maniera indipendente per poter portare poi il proprio contributo di qualità.
Sta al project manager scoprire queste individualità e farle risaltare, senza farsi trascinare dalle mode culturali ma restando oggettivo, aperto ed orientato ai risultati. Questa è la chiave per dare forma ad un team abile nel perseguire e raggiungere i risultati che ci si attende, per ottenere un team formidabile, appunto.

Prima di concludere la presentazione di quest’ultima delle 3 tecniche semplici ed efficaci per costruire team formidabili,  ecco una video presentazione della ricercatrice Susan Cain che argomenta molto bene sul tema. Buona visione e a presto.

 

Conclusioni

In questo articolo ho voluto riportare 3 tecniche semplici ed efficaci per costruire team formidabili affrontando la tematica del team building secondo chiavi di lettura differenti:

– la prima è inerente il gioco di squadra e presenta una tecnica per affinarlo e renderlo più efficace

– la seconda è inerente la costruzione di team aperti e motivati al di là del ruolo dell’istituzione

– la terza riguarda il ribaltamento del punto vista sulle individualità meno estroverse che, erroneamente, secondo la cultura attuale, sembrerebbero meno attive nel fare gioco di squadra ma che rappresentano elementi importanti da valorizzare.

Ciascuna delle tre tecniche propone un metodo o un’idea per far crescere e migliorare il team, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi e se, anche nella tua esperienza, hai avuto modo di verificare una o più delle tecniche riportate in quest’articolo. Se desideri approfondire l’argomento, a me farebbe molto piacere, potremmo rimanere in contatto attraverso l’iscrizione alla lista email di questo sito. Potrai annullare l’iscrizione in qualunque momento. Ti aspetto! Grazie.

 

Riferimenti

[Grant2013] Adam Grant (2013), Rethinking the extraverted sales ideal: The ambivert advantage, Psychological Science, 24 (6), pp. 1024-1030 (ref. https://mgmt.wharton.upenn.edu/profile/grantad/#research)